Piffero Roundup #8: Demi Spriggs; YĪN YĪN; Mariachi Los Camperos; Balimaya Project
Inoltre: Antistatic; Cerys Hafana; John Smith
Rieccoci! Esco un po’ in ritardo rispetto al passato per sperimentare col calendario delle uscite, vediamo come va.
Per cominciare, come penso di fare d’abitudine, i link alle ultime due presentazioni di dischi; poi vediamo le novità della settimana.
Finalmente l’anno ha ingranato e iniziano a uscire i dischi. Cominciamo dal folk e da un interessante EP, a boy called ear di Demi Spriggs, quasi-esordiente di origine greca che si alterna fra Londra e Atene. Il dischino (disponibile limitatamente anche su musicassetta, come usa oggi) è incentrato su una rilettura femminista dei tradizionali, e si avvale di arrangiamenti basilari e melanconici, ottimo fingerpicking e una vocalità interessante, leggera a fronte di ragguardevoli gravi — notevole comunque anche escalator jazz, distorta composizione strumentale in chiusura. L’EP esce per i tipi di Team Love e dovrebbe preludere a qualcosa di più esteso, di cui nulla so. Ve lo lascio via Bandcamp.
Uscito anche Mount Matsu, terzo disco degli YĪN YĪN, bislacco quartetto di Maastricht. Il disco, a detta dei nostri, si situa in “una terra di nessuno fra i Khruangbin e i Kraftwerk, fra il surf e la psichedelia del Sud-est Asiatico, tra il soul della Stax e una disco mutante degli anni ‘80, tra il city pop e il sōkyoku, il folk strumentale giapponese”. Uno zuppone che si traduce in un’infilata di strumentali (se non per episodi coristici) che mi è parsa alquanto incostante ma che tutto sommato, incredibilmente, sta in piedi e regala ottimi momenti. In buona parte l’ascolto è per me inficiato da un serissimo problema che ho con la disco music in generale, ma non posso non riconoscere la freschezza dell’operazione e apprezzare comunque i brani più groovy e lontani da quel paradigma — su tutti The Perseverance of Sano, The Year of the Tiger e White Storm. Molto meno riusciti certi episodi da sottofondo a un lounge bar come Shiatsu for Dinner, ma vi consiglio comunque di dare un’orecchiata. Ve lo giro via Bandcamp.
Per la serie “non è tanto il mio genere, ma si deve”, segnalo la freschissima nuova uscita dei Mariachi Los Camperos, la superformazione messicana capeggiata dall’arrangiatore Jesús “Chuy” Guzmán. Parliamo di una delle più importanti realtà della preservazione del repertorio mariachi, e questo Sones De Mariachi è di una brillantezza e qualità esecutiva tali che persino il profano (come me) non può che restarne colpito. Vi lascio al disco su Spotify (ma se volete comprarlo su Bandcamp si può) e al video della sensazionale El son del perro.
Fra le (tante, troppe) cose che ho tralasciato lo scorso anno c’è anche When the Dust Settles, spettacolare uscita estiva dell’ottimo Balimaya Project, formazione di stanza a Londra fondata dal percussionista Yahael Camara Onono che fonde il jazz londinese a un suono che abbraccia l’intera Africa occidentale. Di fresco hanno pubblicato il video di un’esibizione dal vivo, dove si esegue la trascinante Anka Tulon (ospite Nubia Garcia, sassofonista ancora relativamente giovane della Black London), e colgo l’occasione per proporveli via Bandcamp.
Coi dischi già usciti abbiamo finito. Ora passiamo a un disco imminente, quello della formazione danese Antistatic (nulla a che vedere col terzetto di Perth, ancora sciolto), un quartetto dalla classica struttura rock che propone quello che definiscono rock/‘zen’ funk (!). La sezione ritmica sostiene l’intreccio delle due chitarre di Laust Moltesen Andreasen e Mads Ulrich, che alternano tecnica martellata e a dita, con un risultato nel quale tutti gli strumenti sembrano imitare altri strumenti per portarci altrove attraverso un suono allusivo e molto percussivo. Relics esce a fine mese e ha la mia attenzione, per ora ci sono delle esecuzioni dal vivo dei brani Flag e Loading.
Torniamo nelle isole in chiusura del riepilogo: prima in Galles col ritorno di Cerys Hafana, polistrumentista specializzata nell’uso in contesti elettronici della tradizionale arpa tripla, con la debitamente inquietante Child Owlet. Di uscite discografiche collegate non so ancor nulla. A seguire l’inossidabile Everyman John Smith con The Living Kind, title track del disco in uscita a metà marzo: si sa cosa aspettarsi da lui — soffice folk-pop sorretto da un lavoro chitarristico superbo — e lo si ottiene puntualmente. Vi lascio ai video e al link a quando vi raccontai The Fray, disco precedente di Smith.
Finito. Come sempre vi invito a farmi critiche e osservazioni e a pubblicizzare la newsletter per mare e per terra, se vi piace quello che combino. Alla prossima!