La piazza al centro del villaggio
E perché non possiamo aspettarci dai social quello che non ambiscono ad essere
È probabile che nei prossimi mesi vedremo sempre meno contenuti legati alla politica su Instagram e Threads.
O meglio, a Meta hanno deciso che l’algoritmo non suggerirà proattivamente contenuti politici degli account che non seguiamo. Insomma, meno politica nelle sezioni puramente basate sulle scelte algoritmiche, come Esplora, i reels, In-Feed Recommendations e utenti suggeriti.
Meta ha comunque ribadito che vuole rispettare le scelte degli utenti: se già seguiamo una pagina che tratta temi del genere, continueremo ad avere i post in feed. E anzi, se proprio preferiamo vedere cosa i partiti facciano tutti i giorni per salvare il Paese su Instagram, potremo addirittura scegliere che l’algoritmo NON limiti i contenuti politici sul nostro account.
Tra le altre novità, c’è anche quella di non distribuire più i contenuti politici solo sulla base dell’engagement. L’idea è che un post di un politico virale non sia necessariamente meritevole di essere visto su larga scala, dato che i motivi della viralità possono essere vari, e non sempre positivi.
In ogni caso, sebbene questa notizia abbia fatto scalpore negli ultimi giorni, in realtà è perfettamente coerente con la traiettoria intrapresa da Meta, e da altre piattaforme, da diverso tempo.
Soprattutto con l’uscita di Threads, Mosseri era stato molto chiaro: l’ambizione non era fare il nuovo Twitter, ma piuttosto il TikTok dei testi. E, quindi, per evitare di assomigliare al fu-Twitter, non c’era grande volontà di dare troppo spazio a discussioni di politica.
Come si legge nel post qui sotto, la ragione non è una ostilità alle notizie, ma semplicemente che dibattiti politici e simili portano a Threads, e quindi a Meta, più beghe che altro. E, come abbiamo visto anche in Artifacts, non è che ci sia stata mancanza di beghe a casa Meta recentemente.
C’è stato, comunque, chi si è sorpreso della decisione. Chi ha detto che è vergognoso. E anche chi pensa sia una scelta grave nell’anno delle tante elezioni.
Oggi Artifacts prova a riflettere delle cause plausibili della decisione di Meta, ma soprattutto del perché è un problema che sia un problema. E quindi delle illusioni e false credenze che ci siamo creati con gli anni sul ruolo dei social e del perché se rimaniamo delusi è anche colpa nostra.
La Storia
Le cose, tra i social e i contenuti o le notizie di politica, sono cambiate molto in relativamente poco tempo. Si tratta di una relazione travagliata e che ha visto moli di libri e articoli, ma cerchiamo di ridurre all’osso.
Inizialmente, tutte le piattaforme avevano accolto e ospitato la politica e, in senso lato, giornalismo e news sui feed. Non sono pochi i casi, in Italia e non, di politici che devono molto del loro successo anche alla viralità e visibilità garantita dalle piattaforme. Soprattutto, l’utilizzo della pubblicità mirata a target ben specifici ha assicurato una precisione delle campagne elettorali che prima era impensabile.
Anche ai giornali o siti di news, i social hanno fatto indubbiamente comodo almeno in un primo periodo, sbloccando una nuova via di accesso. Ma hanno anche dato vita alle pagine clickbait, che è difficile chiamare “giornalismo”.
E, dall’altro lato della medaglia, le piattaforme hanno beneficiato del loro ruolo di gatekeeper rispetto ai siti di news. Tanto l’accesso ai siti di news è largamente dipeso dai social, che le partnership editoriali hanno spesso visto condizioni non ideali per il giornalismo. Ma comunque questa è un’altra storia, che prima o poi Artifacts affronterà.
Insomma, sembravano vincere tutti: le piattaforme crescevano, i politici avevano viralità e i siti di news potevano guadagnare lettori.
Poi, però, qualcosa ha cominciato a rompersi: la rivoluzione che sembrava, tra le tante cose, democratizzare l’accesso all’informazione ha mostrato anche delle degenerazioni. Molti identificano il 2016, con Cambridge Analytica e la vittoria di Trump, come l’anno di svolta.
In brevissimo: si è cominciato a pensare che i social avessero delle responsabilità di ciò che si stava rompendo in politica.
E allora, in risposta, i social hanno cominciato a istruire gli algoritmi perché mostrassero sempre meno politica. È il caso di Twitter, specie da quando c’è Musk, di Meta, che ha iniziato nel 2021 e non ora con Threads, ma anche di TikTok, che ha probabilmente capito che i balletti sono più divertenti e creano meno problemi dei decreti legge.
Nel frattempo, chi fa politiche per la tecnologia ha capito di aver lasciato fin troppo spazio ai social e ha cominciato a ritenere le piattaforme responsabili anche dal punto di vista regolamentare. È il caso, ad esempio, del Digital Services Act (DSA) dell’UE, entrato in piene forze sabato scorso, che ritiene le piattaforme “accountable” per la moderazione dei contenuti che ospitano.
Ad essere maliziosi, si potrebbe anche pensare che limitare la circolazione di contenuti “a rischio”, come quelli politici, sia un modo per le piattaforme di ridurre complicazioni da DSA e simili. O che, comunque, immedesimandosi in Zuckerberg e colleghi, sia più facile ed economico far girare meno certi contenuti piuttosto che moderarli.
Tutta questa storia può piacerci o no, e possiamo condividere o meno le scelte delle piattaforme. Dobbiamo, però, bene prendere coscienza che è un problema se le loro decisioni siano così tanto un problema per noi.
Affermazione forte, ma provo a spiegarmi. Per anni, ci siamo raccontati - e i social non hanno mai provato a convincerci del contrario - che le piattaforme potessero essere delle “town squares”. Ossia, che fossero l’equivalente delle piazze o delle agorà in cui condividere quello che pensavamo, dibattere e formarci una coscienza. Insomma, Twitter come Piazza Garibaldi di un qualsiasi paese di provincia.
E abbiamo sognato e idealizzato questa visione al punto da permettere che i social abbiano quasi monopolizzato la conversazione pubblica. Politica si fa (molto, anche) a colpi di tweet, i giornali devono essere sui social, e spesso Instagram o LinkedIn sono i posti in cui andiamo se vogliamo proprio dire quella opinione che non riusciamo a tenerci dentro.
E, chiariamoci, c’è sicuramente anche del bene in tutto ciò. Ma dobbiamo anche capire che le piazze che abbiamo sognato - semplicemente - non esistono. Sono un sogno e una misinterpretazione di quello che le piattaforme sono davvero.
E le piattaforme sono altro in maniera del tutto legittima.
In primis, sono di aziende private, che (1) perseguono i loro interessi economici e (2) non hanno nessun ruolo o dovere nei confronti della sfera pubblica. Piuttosto, l’idea di town square è un qualcosa che abbiamo assegnato nell’immaginario comune, cadendo anche nella narrativa soprattutto di alcune piattaforme, come Twitter.
Però, insomma, Instagram non è tenuta a fare da agorà. Se lo fa, è giusto che ci siano regole ed è benvenuto il DSA. Se non lo vuole più fare, difficile contestare.
E poi - argomento più sottile - preoccuparci che vedremo e che, quindi, faremo più difficoltà a distribuire contenuti politici, è la degenerazione di aver delegato molto della conversazione pubblica ad algoritmi gestiti da aziende private, che hanno gli incentivi di cui sopra.
Ed è giusto e sacrosanto investigare come funzionano questi algoritmi e i criteri con cui consigliano i contenuti, specie se politici. Ma c’è poco da fare se chi li sviluppa decide di limitare i contenuti politici e, quindi, un certo tipo di responsabilità.
E non voglio certo fare una apologia dei social. Piuttosto, il ragionamento vuole essere uno spunto per una presa di coscienza collettiva delle misinterpretazioni in cui siamo caduti e dei rischi che comportano.
Insomma, che il vero errore è stato pensare che una piazza pubblica potesse essere gestita e garantita da privati che - legittimamente e semplicemente - hanno altri fini.
Rassegna (Stampa)
Grandi novità in casa OpenAI: rilasciato Sora, che crea dei video incredibili a partire da istruzioni testuali, ma anche ChatGPT che ora ha memoria.
2024, anno di elezioni. E allora TikTok crea un centro di informazione apposta e tutte le BigTech si mettono d’accordo per limitare i rischi che potrebbe portare l’AI.
Anche a Bruxelles, l’aria è frizzante: il DSA è realtà, ma ci sono già un po’ di problemini. E Apple continua la sua lotta contro il DMA.
Dei ricercatori hanno utilizzato Midjourney per fare le illustrazioni di un paper accademico. E non è andata proprio benissimo:
Lo Scaffale
Non è precisamente sul tema di questa Artifacts, ma “Extremely Online” di Taylor Lorenz racconta bene come e perché abbiamo cominciato a scrivere le nostre idee sui social, a partire dai blog. Sì, prima dei social, c’erano i blog. Sono sincero: a me non ha fatto impazzire, ma credo sia molto una questione di gusti.
Nerding
A volte i tool meno sensazionali sono i migliori. Tipo Spark, il client mail, che aveva avuto molto successo. Ecco, Iconbuddy è un altro di questi: è una repository di centinaia di migliaia di icone, gratis, molto utili per qualsiasi progetto / grafica / slide ti troverai a fare.
Ci riprendiamo le piazze o ne immaginiamo di nuove? E la politica trae vantaggio o meno da questa gattini-sation dei social?