Sì, ora bisogna fare una scelta
E quindi possiamo essere profilati gratis o evitarlo a pagamento
Immagino che anche a te sia comparso un messaggio come quello qui sotto nei scorsi giorni.
Si è confermato quello che era stato anticipato dal WSJ e di cui avevamo parlato in Artifacts diverse settimane fa: Meta ha ufficializzato che offrirà una versione a pagamento e priva di pubblicità di Facebook e Instagram agli utenti che non vogliono acconsentire all'uso dei loro dati. Se gli utenti acconsentono, invece, continuerà a essere disponibile una versione gratuita supportata da pubblicità.
In altre parole, Meta offre un'offerta a pagamento senza profilazione e una gratis con consenso alla profilazione, simile a un paywall.
Però, prima di andare in profondità, è interessante vedere il design di questo pop-up. Gli elementi che mi hanno colpito, dall’alto verso il basso, sono:
“Le leggi stanno cambiando nella tua area geografica”, che sì, è vero che stanno cambiando, ma, come avevamo visto nell’altra Artifacts, il regolamento che porta Meta a questa decisione è il GDPR, che è valido dal 2016. Non proprio l’altroieri;
le icone accanto alle due scelte: una austera carta di credito, direi abbastanza auto-esplicativa, per l’opzione che NON profila gli utenti, mentre una non definita stellina volante per l’opzione gratis e con profilazione;
“la tua esperienza attuale” scritto in verde, che nell’UX design è solitamente il colore della positività o della cosa giusta. Aggiungiamoci che è la situazione che già abbiamo e la generale riluttanza al cambiamento, specie se questo comporta un pagamento;
la cosa più importante, poi, i pulsanti in fondo: più evidente e in blu, quindi più cliccabile, quello per continuare a usare Facebook e Instagram con la profilazione; in grigio, meno attraente, quello per pagare e interrompere la profilazione;
ma guarda anche come viene espresso il concetto di gratuità: quando NON paghi c’è scritto “senza costi aggiuntivi”, e quindi facile, com’è ora; la cosa si ripete sia in inglese, dov’è “I want to use it for free”, e in francese, dove c’è scritto “gratuitement”. Il far fare la scelta sui soldi, ossia sul “paga o gratis”, non è indifferente, secondo me;
elemento bonus: che questo pop-up esce, a caso, una delle varie volte che apriamo un social e non viene, invece, mandata ad esempio una mail. Mi ha fatto pensare che forse Meta vuole sbrigare velocemente la faccenda.
Forse, anche guardando a questi elementi, possiamo capire quale scelta Meta vorrebbe che sia preferita da parte degli utenti. Insomma, in una certa maniera, anche i pop up, oltre agli artefatti, “do have politics” :)
Comunque questa di design è chiaramente solo parte della questione. Molto di più c’è da dire sulle implicazioni e il futuro di questa opzione. L’Artifacts di oggi si lega a quella a quella del 10 ottobre, dove avevamo visto perché Meta sarebbe potuta arrivare a questa situazione. E approfondisce, invece, alcune riflessioni iniziali che questo pop-up fa scaturire, se esista davvero il consenso previsto dal GDPR, se questi 13 euro siano appropriati e quali siano i prossimi passi.
Il Titolo
In breve, quindi, queste sono le 3 scelte che abbiamo:
pagare 13 euro/mese per la versione ads-free se non vogliamo dare il consenso alla nostra profilazione;
usare gratis la versione con gli ads se vogliamo dare il consenso alla profilazione;
trovare un’alternativa ai servizi di Meta se non vogliamo né pagare né dare il consenso. Cosa che, immagino, sia in realtà la scelta ideale della maggior parte delle persone.
La situazione è spiegata bene da Meta così:
Ora che questa scelta è realtà, comunque, le domande che il 10 ottobre avevamo solo ipotizzato, sono realtà. Vediamone insieme 3.
Il consenso alla nostra profilazione che diamo optando per la versione gratis è davvero reale, libero e non influenzato, come prescrive il GDPR? In altre parole, pagare 155 euro l’anno per usare i social è un’alternativa accettabile o, quantomeno, plausibile?
I dati sembrano dirci di no: del 42% degli utenti a cui non piace il targeted advertising, solo il 7% pagherebbe 5 euro al mese per non averlo, secondo questo recente studio di Akman. Vista così, è difficile percepire la versione a pagamento come un’alternativa plausibile per non essere profilati.
Più che consenso alla profilazione, allora, quello degli utenti è più il risultato della volontà di non pagare.
Abbandonare questi servizi è una scelta indolore? C’è chi - l’ho letto in giro - dice “Guarda che non usarli è gratis”. Che è vero, assolutamente e per carità, ma esistono due obiezioni ragionevoli a questa linea di pensiero:
possibile che, dato che non voglio pagare e nemmeno essere profilato, allora devo necessariamente abbandonare quesi social?
più pragmaticamente, molti li usano magari per lavoro o simili, e in realtà non usarli porta delle perdite, e non è quindi gratis.
In più, va anche detto che abbandonare Instagram o Facebook, non significa semplicemente spegnere un account, ma anche lasciare i contenuti che abbiamo postato, community/amici costruiti nel tempo, e magari doversi ricostruire una esperienza social altrove. Insomma, gli switching costs di cui abbiamo parlato la scorsa settimana.
Da questo scenario, allora, è chiaro che, “puoi decidere di abbandonare i servizi”, come dice Meta. Ma a che costo? Davvero la possiamo considerare una terza via valicabile? Lo è, ma viene con dei costi, che sono creati dalla stessa struttura decisa da Meta per i suoi social, ossia una chiusa e con switching costs elevati.
Come si giustifica il prezzo di 13 euro al mese? In realtà, comunque, sono 10 euro, ma in app diventano 13 per le commissioni di Apple e Android sugli acquisti fatti tramite i loro store. In ogni caso, 10 o 13, come si arriva a questa cifra?
Se guardiamo al grafico qua sotto, la domanda è ancora più problematica.
In Europa, mediamente, Meta guadagnava 15 euro per utente ogni trimeste. Dunque, che con questo modello possa guadagnare 30 euro per trimestre da ogni utente sembra irragionevole. O, almeno, è forse difficile da spiegare come “tariffa appropriata”, che è come l’aveva messa la Corte UE nella sentenza che ha fatto nascere tutta questa vicenda.
Su queste domande è verosimile che si interrogherà la Commissione UE per capire se davvero gli utenti siano liberi in questa scelta o se, invece, esistano una serie di vincoli non trascurabili. Soprattutto alla luce dell’articolo 13.6 del DMA, che prevede il divieto di limitare l’autonomia o mettere a repentaglio le scelte degli utenti attraverso la struttura, il design, o il funzionamento delle interfacce.
Per concludere con una provocazione, fa riflettere che Meta stia offrendo, a pagamento, la cura a un male che ha creato lei stessa per offrire i suoi servizi gratuitamente. Concetto espresso dal grande
nella sua . In teoria, infatti, basterebbe cominciare a offrire della pubblicità non targetizzata, ma generale. Tipo quella delle televisioni.Ma è una provocazione, poi magari la approfondiremo. Per oggi, ok così!
Rassegna (Stampa)
Guarda che bella l’ultima copertina del New Yorker. La spiegazione è pure meglio.
OECD ha dato una nuova definizione di Intelligenza Artificiale! Forse, però, trascura un po’ l’elemento umano in essa.
Nel frattempo, l’AI Act sembra essere in stallo, e questa è una cosa abbastanza pericolosa.
Questi qua, ex Apple, hanno presentato quello che dovrebbe essere il futuro degli smartphone: non avere uno smartphone.
Lo Scaffale
“La tecnologia ci consente una realtà, una sua rappresentazione, in cui il nostro corpo può essere in un luogo e la sostanza immateriale, attenzione compresa, in un altro.” Se è bastata questa frase a intrigarti, ok. Altrimenti, comunque, “La tecnologia è religione” di Chiara Valerio è una bella riflessione su noi, la tecnologia e come stiamo cambiando con essa.
Nerding
Nasce come tool per i giornalisti, ma in realtà è utile a tutti quelli, come me, che leggono, prendono appunti, e poi si scordano da dove hanno preso quegli appunti. Con Google Pinpoint puoi salvare tutti i docs che ti servono per una ricerca nello stesso posto, e poi cercare concetti/parole/qualsiasi cosa semplicemente digitando. Nice to have.
P.S. Ammetto che l’ho scoperto grazie al grande Federico Romeo, amico e lettore di Artifacts.