Ciao, sono Maddalena e questa è Beautiful Business, la newsletter della domenica che parla l’unica lingua universale che ci è rimasta: la bellezza.
Se vi trovate qui per la prima volta, potete spulciare le uscite precedenti nell’archivio.
Come vi avevo anticipato qualche settimana fa, quest’anno ho avuto la malsana idea di buttarmi in questa prova di resistenza chiamata Dry January.
Si tratta di una tradizione britannica molto semplice che consiste in un mese senza alcolici. La scelta del mese di gennaio è banalmente collegata al carico da novanta che si porta il mese di dicembre tra feste e bagordi vari.
Ora, una premessa per chi non mi conosce proprio: io bevo tanto. In primis perché non ho mezze misure con le cose che si contano (soldi, cibo, etc.), ma soprattutto perchè ho allenato il mio gusto e la mia resistenza nelle migliore palestre etiliche di Italia e del mondo. Nasco in Piemonte (dove ti iniziano al barbera a cinque anni), studio in Veneto (che non ha bisogno di introduzioni), vivo cinque anni in Cina (dove la gente è abituata a pasteggiare a baijiu alla goccia) e due in Inghilterra (dove per intenderci hanno inventato il Dry January per darsi una regolata). Questo per dire che ho coltivato con cura la mia tolleranza alcolica, soprattutto nei periodi di stress maggiore, cambiamento o noia. Capirete dunque che un evento come la pandemia che spunta tutte e tre le caselle, mi abbia portato ad incrementare il mio consumo di alcool esponenzialmente. Lo dico sempre per scherzare, ma io sono ubriaca dall’8 marzo 2020.
Così, quando il 2022 ha fatto capolino e i propositi del nuovo anno mi sono sembrati stantii, ho deciso di provare il brivido di una promessa inedita e di rinunciare all’unica cosa a cui mi sono aggrappata negli ultimi anni: bere. Ho anche pensato che potesse aiutarmi con il Proposito per eccellenza (dimagrire) ma ovviamente mi sbagliavo, eccome se mi sbagliavo.
Probabilmente 28 giorni non sono sufficienti per notare un miglioramento del proprio benessere psicofisico, però non ho dormito meglio, non ho avuto più energie, non ho (ahimè) perso un etto. È stato tutto molto complicato e, soprattutto per le prime settimane, bere è stato un pensiero fisso, quasi ossessivo. Mentirei se dicessi che i sabati mattina senza testa ovattata e stomaco in fiamme non siano piacevoli, ma il cuore leggero del venerdì sera rende il discomfort fisico il giusto prezzo da pagare.
Ho pensato di mollare più volte, ma poi sono passati i primi dice giorni e la mia forza di volontà ha avuto inspiegabilmente la meglio. Tuttavia, c’è da aggiungere che ho trovato dei mezzi alternativi per non gettare la spugna e, guidata dall’algoritmo di Instagram come nelle migliori favole ho incontrato nelle mie sponsorizzate JNPR.
SHOPPING LIST
JNPR è pronunciato “Juniper” e come cenno alla sua specificità, le vocali sono sparite così come l’alcool. Si tratta infatti di un’azienda francese che produce distillati analcolici (e senza calorie) a base di piante e spezie aromatiche come ginepro, mela, cardamomo. Il progetto nasce con l’intento di offrire una soluzione analcolica dei classici drinks, ma anche dall’esigenza di fornire ai bartender un ingrediente con ottime proprietà di mixology, ma che sia contemporaneamente senza o con poco alcool. Infatti, per incoronare il posizionamento e per andare a parlare al target giusto, la fondatrice Valérie De Sutter ha elaborato parte della gamma con Flavio Angiolillo - uno dei bartender più blasonati della scena milanese nonché artefice del successo di locali come il Mag e 1930. La collaborazione ha dato vita a Bttr n°1, il vermut (eccellente) a cui si affiancano due tipologie di “gin”, o meglio infusi di ginepro, uno più speziato e uno più secco da mischiare con tonica o ginger beer.
Io ovviamente ho acquistato il kit degustazione in modo da diversificare i miei cocktail in queste settimane di astinenza e posso dire che sono stati degli ottimi compagni di viaggio, anche a detta di chi li ha assaggiati con me.
Aldilà del gusto, questi succedanei mi hanno permesso di partecipare al rito della convivialità che una buona bottiglia porta con sè - che poi è stata la cosa di cui ho sentito di più la mancanza. Alle cene e ai pranzi organizzati in questo periodo di rinuncia, ho sempre avuto la percezione di perdermi un pezzo, a tratti mi sono sentita quasi esclusa. In un paese come il nostro, dove bere è quasi un fattore identitario, come fanno quelli che non possono bere per davvero?
L’ho chiesto a Chiara - in arte sulaclaire - che, oltre ad essere un punto di riferimento per la scoperta di posti e locali esclusivissimi a Milano e in Europa, gestisce due capisaldi della storia dei Navigli, il bar Rita e il Rita’a Tiki Room.
Da sempre abbiamo cercato di mantenere nelle ricette analcoliche lo stesso approccio che usiamo per la miscelazione tradizionale e che per di più distingue lo stile Rita da quello di altri: il prodotto fresco. Usiamo il più possibile spremute del giorno, estratti di frutta e verdure e combiniamo con aromi, spezie e sciroppi fatti in casa per creare mix piacevoli e divertenti anche se alcool free.
Da Rita quindi l’esperienza vissuta da chi beve con o senza alcool è la stessa, ma non tutti i locali sono così. Come fai quando cerchi il sapore dello spritz o di un gin tonic alcool free? Perchè bisogna accontentarsi di scegliere da un altro menù? In parte il problema è legato ai costi, come conferma anche Chiara:
Non siamo grandi fan dei prodotti analcolici anche perché ancora oggi arrivano sul mercato con un prezzo significativo - il che ci porterebbe ad avere un drink cost quasi al pari a quello di cocktail classici.
Se la domanda è ancora insufficiente da garantire una diffusione più ampia di questi prodotti, è anche vero che potrebbe valere la pena iniziare a pensare a questa nicchia di consumatori che per me hanno gli stessi diritti di chi, per esempio, può scegliere Beyond Meat o tutti i sostituti plant-based della carne dal menù di un fast food. Il mercato dei low-no drinks è in rapidissima ascesa, soprattutto in UK e in quei paesi dove l’alcolismo ha un impatto sociale, ma anche dove l’integrazione con nazionalità le cui tradizioni escludono l’alcool è più forte. Sarà arrivato il momento di rendere anche l’alcool più inclusivo?
Food for thoughts, o meglio, drinks for thoughts.
I TIK TOK DELLA SETTIMANA
L’angolo della risata, dei cani, ma anche dei trend che popolano questo mio amato social che è un pò un Beautiful Business per antonomasia.
Una dedica a Sergio, che sperava solo di tornare a Palermo a mangiarsi lə arancinə.
La fine che si meritano le cimici.
Non capire il brief.
Quando cerchi la primavera in ogni stanza.
Perchè Sanremo è Sanremo.
Mucche con l’autotune.
Grazie per essere tornati qui o per essere qui per la prima volta, ricordatevi di diffondere il verbo di Beautiful Business. Alla prossima!