Coltivare mais vuol dire 2 cose: guidare il trattore e spruzzare roba
Senza il mais gli allevamenti intensivi non esisterebbero
Finalmente torno con quel tipo di approfondimenti che mi piacciono e che mi piace scrivere. Oggi si parla del cereale più coltivato sul Pianeta: il mais. Se i membri delle civiltà mesoamericane si consideravano persone fatte di mais, ora lo siamo tuttə.
La scorso fine settimana sono stato sul Monte Rosa per aiutare degli amicə a girare un documentario. La neve era rimasta solo sopra i 2.000 metri e parlando con chi abita e lavora su quelle alture, gli effetti della crisi climatica non solo si vedono ma spaventano pure.
Animal farm News è divisa in tre parti, oltre a un articolo inedito ci sono due rubriche: Contenuti interessanti e Immagini che mi hanno colpito.
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“Dei trentotto ingredienti che compongono un McNugget, almeno tredici, secondo il mio calcolo, derivano dal granoturco: il pollo in sé (alimentato con mangimi a base di mais), l'amido di mais modificato (che serve a legare la carne sbriciolata), i mono, di e trigliceridi (emulsionanti che impediscono ai grassi e all'acqua di separarsi), il destrosio, la lecitina (un altro emulsionante), il brodo di pollo (che restituisce un po' del sapore strappato via dalla lavorazione), la farina di mais e un altro tipo di amido modificato che formano la crosta, altro amido ancora per fare massa, i grassi vegetali, l'olio di mais parzialmente idrogenato”. Quanto la società dei consumi sia dipendente dal mais l’ho imparato da Michael Pollan che nel suo Dilemma dell’onnivoro (Adelphi 2008) gli dedica ben 98 pagine, in pratica una sezione intera del libro.
La nostra relazione con il mais è iniziata 9.000 anni fa in Messico. A quei tempi piccoli gruppi di raccoglitori-cacciatori, formati da 20/50 persone, si spostava nella valle del fiume Balsas seguendo le stagioni di crescita di diversi cibi selvatici. Tra le piante di cui si nutrivano ce n'era una che produceva semi che “se si prova a masticarli, ci si rompe un dente” questa pianta, che da quelle parti esiste ancora, si chiama teosinte ed è la versione selvatica del “nostro” mais. Solo i semi migliori venivano raccolti per farne farina, e inevitabilmente durante queste operazioni qualche seme cadeva a terra… iniziando così un lungo e inconsapevole processo di selezione. La selezione operata nel corso di millenni da oltre 300 generazioni di agricoltori ha trasformato un cespuglio, composto da piccole spighe con una dozzina di semi (ognuno dei quali rinchiuso in un involucro che assomiglia a una mini noce), in una pianta dal fusto dritto che porta una o due grandi pannocchie piene di semi pronti per essere macinati.
Dopo circa 9.000 anni di coltivazione la dimensione del seme è aumentata dell’80%, il numero dei chicchi del 300% e le pannocchie sono diventate 60 volte più grandi.
Nel 1493, quando Cristoforo Colombo portò la prima pannocchia alla corte della regina Isabella, l’estensione del mais andava dal sud del Cile al nord del Canada, e alla fine del XVI secolo venne piantato pure in Africa e in Cina. Intorno al 1890 le grandi piantagioni di mais ibrido avevano talmente trasformato il paesaggio del Midwest americano che l’area venne chiamata Corn Belt. Gli USA diventarono rapidamente il principale esportatore di mais in Europa.
La svolta industriale nella coltivazione del mais avvenne alla fine della Seconda Guerra Mondiale, quando gli yankee si ritrovarono con enormi quantità di nitrato d’ammonio – principale ingrediente per la costruzione di bombe – ma che risultava anche un’ottima fonte di azoto per le piante. Fu così che l’industria militare si convertì nella produzione di fertilizzanti e pesticidi, anch’essi sottoprodotti bellici. “Stiamo ancora finendo di mangiare gli avanzi della Seconda Guerra Mondiale”, così Vandana Shiva ha commentato questo shift. Una riconversione che fece “esplodere” la produzione delle varietà ibride. Il mais ibrido, infatti, è tra le piante coltivate più voraci di azoto. Gli ibridi portarono molti più chicchi agli agricoltori, ma li privarono della possibilità di preservare e ripiantare il loro mais, divennero così dipendenti dai prodotti di una nuova industria in forte crescita: quella delle aziende sementiere.
A proposito di azoto e guerra, l’azoto è stato sintetizzato per la prima volta nel 1908 dal chimico tedesco Fritz Haber. La sua scoperta, che gli è valsa il Nobel nel 1920 “per avere migliorato gli standard dell'agricoltura e aumentato il benessere dell'umanità”, ha dato il via alla produzione industriale di fertilizzanti. Secondo il suo biografo, senza l'invenzione di Haber due abitanti su cinque nel pianeta oggi non sarebbero vivi. Durante la Prima Guerra Mondiale il chimico tedesco si mise al servizio della Nazione per produrre gas tossici da utilizzare contro le truppe nemiche. Sua moglie, quando venne a sapere che il genio del marito portò alla morte di migliaia di soldati, si suicidò. Per non farsi mancare niente Haber fu anche l’ideatore dello Zyklon-B.
E gli animali dove sono finiti in questa newsletter?
Con l'introduzione dei concimi sintetici si è data la possibilità agli agricoltori di seminare mais tutti gli anni e su tutti i terreni disponibili, senza il bisogno di letame e rotazioni delle colture. In questo modo si diede il benvenuto alle monocolture e alla meccanizzazione delle campagne.
Pollan scrive: “Anziché attingere esclusivamente alla fonte solare, l'umanità ha iniziato a bere i primi sorsi di petrolio. Più della metà dell'azoto sintetico oggi prodotto nel mondo va a finire in un campo di granoturco. […] Se sommiamo il gas naturale presente nel concime, il combustibile utilizzato nella fabbricazione dei pesticidi, quello necessario per i trattori, per il raccolto, per l'essiccazione e il trasporto, troviamo che un quintale di mais prodotto con metodi industriali consuma l'equivalente di 4-4,5 litri di petrolio, ovvero 470 litri all'ettaro (certe stime portano a valori molto più alti). Detto in altro modo, per produrre una caloria alimentare ci vuole più di una caloria di combustibili fossili. Nell'ottica dell'efficienza industriale, è un vero peccato che non siamo in grado di bere direttamente il petrolio: ci sono molte meno calorie in un quintale di mais che nei quattro litri o più di combustibile necessari alla sua produzione”.
Mais & animali
Ibridi, azoto e trattori: appena questo trittico cominciò a spopolare immense quantità di mais a buon mercato resero economicamente più conveniente rinchiudere bovini, polli e maiali in grandi stalle e alimentarli con i mangimi. Dagli anni cinquanta l’America insegnò al mondo che era più produttivo trasferire gli animali nei capannoni che lasciarli pascolare sui prati. Chi ancora allevava all’aperto non poteva più competere con l’allevamento intensivo. E quando il prezzo del mais calava se ne piantava ancor di più per compensare le spese e inseguire i guadagni.
Il mais è il secondo alimento più coltivato sul Pianeta, con 1.2 miliardi di tonnellate, è dietro solo alla canna da zucchero (1.8 miliardi), di soia se ne produce poco meno di 400 milioni di tonnellate. Gli Stati Uniti, sono ancora i numeri uno, producono il 30% del mais mondiale. La superficie che destinano alla coltivazione del granoturco (345.000 Km2) è grande quasi come l’intera Germania.
Il mais è il principale componente utilizzato per alimentare gli animali negli allevamenti americani, il 40% della produzione totale finisce in mangimi.
E in Italia come siamo messi?
In Italia nel 2021 si sono coltivati 5.880 Km2 di mais, con una produzione di circa 6.1 milioni di tonnellate e un’importazione di 5.2 milioni di tonnellate. Nel complesso, il 70% del mais disponibile nel nostro Paese è stato destinato all’alimentazione animale. Secondo Assalzoo (Associazione Nazionale tra i Produttori di Alimenti Zootecnici) per soddisfare la domanda della zootecnia nazionale dovremmo coltivare almeno 300 mila ettari in più di mais. Facendo due calcoli viene fuori che solo per il fabbisogno di mais necessario a nutrire gli allevamenti italiani, ci servirebbe uno spazio grande quasi come la superficie delle Marche.
Questo è il grafico definitivo che conferma il mio interesse sullo Zea mays. Il granoturco è il principale ingrediente utilizzato nella composizione dei mangimi, largamente davanti alla soia (Farine d’estrazione di semi oleosi).
Comunque anche io me ne ero accorto guardando le etichette dei mangimi attaccate ai silos degli allevamenti.
Un altro aspetto di cui poco si parla è la resa dei mangimi rispetto alla quantità di carne prodotta. Per ottenere un Kg di carne di pollo ci vogliono circa 3 Kg di mangime e per la carne di maiale il rapporto è 1:4.
Mais & siccità
Per scrivere questo pezzo ho fatto una chiacchierata con un agricoltore pavese, lui è il quarto di una generazione di contadini. Dopo avermi spiegato tutte le fasi e i trattamenti necessari per la coltivazione del mais mi ha spiazzato dicendomi che comunque sono 3 anni che non pianta più granoturco: “non ne vale più la pena, lo scorso anno i miei colleghi, vista la mancanza di piogge, hanno dovuto fare 4 giri d’annaffiatura, anziché i soliti 2, massimo 3”.
Per cercare di capire quali siano i livelli di consumo di acqua del nostro cereale mi sono letto un manuale, tecnico (ma comprensibile), e come immaginavo ho trovato numeri associati a unità di misura mai sentite prima, per cui mi limito a citare alcuni passaggi: “L'enorme potenzialità produttiva del mais può esplicarsi appieno solo in corrispondenza con il totale soddisfacimento delle esigenze idriche della coltura, il che comporta spesso un apporto idrico considerevole”.
Secondo l’Istat tra il 2010 e il 2020 i terreni dedicati al mais sono diminuiti del 35%: “per una serie di criticità convergenti: contrazione dei prezzi, elevati costi fissi e maggior rischio sanitario”. Non si parla esplicitamente di siccità, ma in questo caso ci viene in aiuto Coldiretti che con il solito fare piagnone afferma: “La siccità ha infatti un impatto devastante sulle produzioni nazionali che fanno segnare cali del 45% per il mais e i foraggi che servono all’alimentazione degli animali”. In poche parole coltivare mais è diventato più difficile e più costoso e la motivazione principale è la crisi climatica.
Ho finito
Voglio terminare con una cosa abbastanza triste che ho letto in Terra Silenziosa (il Saggiatore 2022) di Dave Goulson, professore di Biologia presso l’Università del Sussex. In soli cinquant’anni l’impoverimento dei terreni e l’uso massiccio di pesticidi hanno ridotto la popolazione di insetti del 75%. Come ho cercato di spiegare la produzione industriale di mais è fortemente responsabile di entrambe le cause. L’87% di tutte le specie vegetali viene impollinata da animali, soprattutto insetti. Senza l’impollinazione i fiori selvatici scomparirebbero e il nostro mondo lentamente perderebbe i suoi colori.
Frikkettonate a parte. “Se tutta l'umanità dovesse scomparire, il mondo si rigenererebbe tornando al ricco stato di equilibrio che esisteva 10.000 anni fa. Se gli insetti scomparissero, l'ambiente cadrebbe nel caos”. E.O. Wilson, uno dei più grandi biologici dei nostri tempi.
Contenuti interessanti
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Un’immagine che mi ha colpito
Per la prima volta nella storia la concentrazione atmosferica di CO2 ha superato le 424 parti per milione (ppm). Più della metà della CO2 prodotta dalle attività umane, dalla Rivoluzione Industriale ad oggi, è stata rilasciata nell'atmosfera dal 1990. Questo grafico è devastante.
Mi rendo conto che quasi tutto ciò che racconto in questa newsletter proviene dagli Stati Uniti, ma gira e rigira sono loro che dettano e soprattutto hanno influenzato il Nord del mondo e non solo mi verrebbe da dire. Prometto che mi impegnerò a trovare argomenti yankee-free. Intanto, buon 25 aprile!