It's Friday I'm (not) in love - Issue #154
Di gruppi emo-pop, saggezza in coda e rewatch da evitare
Questa è It’s Friday I’m (not) in love, una newsletter settimanale per cuori precari ma non disperati che arriva ogni domenica mattina. Se ti piacerà, clicca sul cuore, commenta o inviala ad altri potenziali (e non) cuori allo sbando. Oppure puoi offrirmi un caffè e supportare il mio lavoro. Grazie!
E ora, come sempre, schiaccia play e… buona lettura.
Sono scomparsa da due settimane ma di base non è successo nulla. Impegni, persone, lavoro. Il tempo corre più veloce di me in questo periodo, non che sia poi così complicato. Ammetto anche di aver avuto un blocco personale, non legato a una situazione specifica ma più a questa stagione autunnale e alla sensazione di non avere davvero molto da condividere.
“È un periodo un po’… così” ha scritto Domitilla Ferrari in un suo post su LinkedIn (qui la sua bella newsletter) e credo sia un ottimo modo per rispondere alla domanda più abusata di sempre. Perché in quel “così” ampio e sfuggente, ognuno trova la sua emozione da mettere a fuoco. Quella da cui, piaccia o meno, parte tutto il turbinio a cui non riusciamo mai a dare un nome preciso.
Giorni fa in una sua IG story la creator Sofia Fabiani, ovvero Cucinare Stanca, riportava una conversazione con il padre che le ripeteva come non dovesse giustificarsi per il fatto di essere stanca. Definire il concetto di stanchezza non è affatto banale, anche lei appare in forme e percezioni varie, per motivi differenti e con un impatto variabile. A volte sono gli altri a riconoscerla, altre volte siamo noi che la minimizziamo con una scrollata di spalle.
Ma allora come stai? “Quando non sai cos’è, allora è Jazz” vorrei dirti ma sarebbe troppo facile. Credo sia un discorso più ampio che affonda nelle risposte che cerchiamo e non troviamo. Un signore anziano la scorsa domenica, in coda durante una mia attività di volontariato, mi ha ripetuto che la vita è sempre una questione di aspettative. “Vedi io non mi attendo nulla da questa visita, entrerò in questo luogo e semplicemente mi lascerò sorprendere. Le persone pensano che le sorprese debbano in qualche modo arrivare dagli altri e dall’esterno, ma se i primi a non essere capaci di meravigliarci siamo noi, capisci che nulla potrà aiutarti.”
Non avere aspettative ma coltivare il senso della meraviglia.
Forse è questa l’equazione a cui non troviamo mai soluzione.
Venerdì sera sono andata a un concerto arrivando in ritardo di vent’anni. Ho scoperto i Fall Out Boy, gruppo emo-pop-rock, nel 2007 guardando e amando la serie tv One Tree Hill (che forse ritengo superiore, anche solo per l’educazione musicale che ci ha dato, a Dawson’s Creek, ma questa è un’altra storia). E mentre urlavo a squarciagola lì sugli spalti, mi chiedevo cosa avrebbe detto la me adolescente di allora. Con quanta intensità avrebbe saltato, con quanta rabbia avrebbe cantato Thnks fr th Mmrs dedicandola a un non ben precisato innamoramento lampo del tempo.
Nulla è più indicativo del tempo che passa come il modo in cui ci ricordiamo della nostra adolescenza, con un cenno di scherno prima e con sconosciuta tenerezza dopo, quando il tempo ci ha insegnato che le aspettative dei sedici anni raramente collimano con le prese di coscienza dei nostri trentacinque.
A una delle mie più care amiche, nel bel mezzo del concerto, ho confidato che vorrei rivedere tutte le stagioni di One Tree Hill. Così per ritrovare un po’ di quell’emozione lì. “I rewatch non sono mai belli, ormai ho un cervello diverso” mi ha risposto. Ci sta, del resto le aspettative create da quella grande ondata irripetibile di serie tv per adolescenti dei primi anni Duemila sono quelle che hanno demolito sentimentalmente tutta la mia generazione. E poi è impossibile non osservare quelle dinamiche con un occhio più stropicciato dalla vita e dalle sue delusioni, così come dalle promesse disattese che abbiamo richiuso in qualche cassetto. E forse anche con uno sguardo più severo rispetto a quello che eravamo e a quello in cui credevamo.
Però, magari, come direbbe quel signore della scorsa domenica, è anche così che ci si allena alla meraviglia. Ricercandola proprio dove per prima l’abbiamo incontrata, che sia un luogo, una canzone, una serie tv, un sapore perduto. Cercando quella stessa scintilla e combattendo quel senso cinico di cui siamo sempre più spesso preda.
Accettando la delusione nello scoprire che forse siamo solo cambiati ma preservando comunque i ricordi che certe cose hanno contribuito a creare.
Del resto lo cantava anche venerdì quel gruppo di Chicago: “Thanks for the memories | Even though they weren't so great.”
#ItsFridayImNotInLove
💌 Modern Love
Dalla rubrica settimanale del New York Times “Modern Love” (da cui è tratta la serie disponibile su Amazon Prime)
Cosa succede quando una tua perfetta omonima che vive a 700 miglia di distanza, in un altro stato, ti scrive una mail spinta dalla curiosità di sapere chi sei? Può nascere un’amicizia di penna, un rapporto che seppur digitale può significare molto anche si potrebbe pensare il contrario, come racconta il Modern Love della scrittrice Jennifer Graham. E che, in un modo più brutale di altri, ti potrebbe insegnare il senso dell’amicizia. Esserci. L’amicizia consiste nel farsi vedere, che non dobbiamo indugiare o razionalizzare quando i nostri amici sono in difficoltà, anche se sono "solo" amici telematici. Bello con un finale toccante. Ognuno ha il suo Ohio, il posto dove dover andare.
📌 Post-it del venerdì
Single, dating, coppie e relazioni. Gli articoli della settimana per districarsi nel precariato sentimentale
I confini dei social appaiono sempre più sfumati. Del tipo che 9 donne su 10 hanno ricevuto avances su LinkedIn e, al contrario, le app di dating stanno diventando sempre più utilizzate per trovare lavoro. E Tinder prova a correre ai ripari.
Perché finiamo per essere attratti da colleghi di lavoro, amici della palestra o semplicemente da qualcuno che ci capita di vedere molto spesso?
È uno dei nuovi trend di TikTok per capire qual è il proprio tipo ideale e tenere traccia di ciascun appuntamento, visto che con il dating online, capita spesso che si esca con più persone contemporaneamente.
Già il titolo di questo pezzo è provocatorio quanto basta: “Fare schifo non fa più schifo?” Una bella analisi del fenomeno goblin mode, un’ode all’ozio più vero e il concetto di deromanticizzazione della nostra vita. E perché questa, forse, ci salverà.
🎙️ Mixtape e altre storie
Consigli (non) richiesti per sembrare degli alternativi consumati
C’è questo pezzo del 2020 di Alicia Keys, 3 hours drive, in duetto con Sampha che ho amato da subito. Non conoscevo questo artista, ma da lì a poco mi innamorai del suo primo album Process che gli valse il plauso della critica e il prestigioso Mercury Prize. Da lì negli anni chiunque ha voluto collaborare con la nuova voce del soul inglese. Sampha torna (finalmente) dopo 6 anni con un nuovo album, Lahai, dal nome del nonno, un mix di elettronica, soul e r&b. In questa sua intervista mi ha colpito molto la descrizione di questo nuovo lavoro: “Qualcuno ha detto anche che sia in realtà per tutto questo genere di influenze che questo album suoni come molto più adulto, ma non sono sicuro sia il termine esatto: credo racconti del fatto di essere felice e al posto giusto.”
In occasione dei 20 anni di Vanity Fair Italia è uscito in edicola un bel numero speciale che raccoglie le parole più importanti per la testata. Tra queste anche “amore” la cui sezione di articoli speciali si apre con un brevissimo racconto inedito della scrittrice Chiara Gamberale. Qui disponibile online. Una storia di rimpianti e amori mai terminati e domande a cui non c’è mai davvero una risposta: “Ma perché ti sei innamorato di me?”
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