MrBeast, l’Oppenheimer dei video
Lo Youtuber più seguito al mondo si è pentito di aver creato l’arma definitiva.
“Miei cari YouTuber, sbarazziamoci dei contenuti ultra rapidi e sovrastimolanti”.
Così scrive MrBeast in un tweet.
E io sono d’accordo, anzi, lo dico ormai da anni.
Solo che temo ormai sia troppo tardi: la bomba atomica è già stata sganciata.
Scorrendo i feed video dei vari social ho sempre più l’impressione che la situazione stia diventando irrefrenabile.
L’altro giorno per esempio, tra un video di gatti e l’altro, mi sono imbattuto in questo. L’ho guardato per qualche secondo e poi ho dovuto chiudere il telefono, nauseato.
Normalmente mi sarebbe piaciuto, ma quando ho visto quel video specifico mi sono sentito colpevole.
Colpevole perché mi sono sentito parte di un algoritmo che premia contenuti sempre più rapidi; colpevole di un meccanismo che ci fa giudicare i video dai primi millesimi di secondo e, se non ci colpisce immediatamente, passiamo a quello successivo.
Il viaggio però inizia molto tempo fa, da quando i “video in stile TikTok” sono diventati un nuovo standard.
Cosa ha comportato?
La standardizzazione dei video TikTok ha fatto rendere conto all’utente medio che l’unico modo per “farsi vedere” sui social è rispettando la grammatica del social stesso.
Ipotizziamo che Luca sia l’utente medio: con i social non ci ha mai lavorato e li utilizza solamente per stare connesso con i suoi amici e, di tanto in tanto, pubblicare qualcosa.
Luca ha un carlino, che spesso fa cose sceme. Decide un giorno di fargli un video e, durante la ripresa, il cane fa delle mosse strane, sceme, molto divertenti. Luca allora decide di caricarlo su TikTok.
Il problema però è che il video dura 2 minuti, il ritmo è lento e contiene molti momenti morti. Di conseguenza tutte le persone che vedono il video non sono attratte, lo skippano dopo qualche secondo e fa 0 like.
Luca però è una persona determinata ed è convinto che il video sia veramente divertente. Così si arma di pazienza e fa un piccolo lavoro di editing, taglia qualche scena morta, accorcia il video e alla fine ottiene un contenuto molto breve con solamente i punti salienti.
Lo ripubblica su TikTok.
Dopo un’ora torna a controllare il telefono e scopre che è diventato virale: 100mila view in pochissimo tempo e oltre 20mila like… Wow!
La dopamina di Luca brulica e lo spinge a creare altri video simili, oltre a spargere la voce ai suoi amici che proveranno a replicarlo a loro volta.
Insomma, Luca ha scoperto che fare degli editing veloci e fruibili funziona alla grande e diventa perciò il nuovo standard, ossia l’unico modo per riuscire a raggiungere tante persone e sollecitare i nostri recettori della dopamina.
(Il video che qualche riga sopra mi aveva nauseato è un editing portato alla massima potenza, con musiche virali e sovrapposizioni di immagini e video).
“Rachel Kay Albers propose il suo libro a una casa editrice che accolse entusiasta l’idea. Il problema arrivò poi dal reparto marketing: le dissero che non aveva un seguito abbastanza grande.
Internet ha fatto in modo che non importa tu sia un manager, un astronauta o un netturbino: non puoi sfuggire alla tirannia del personal brand.”
Questo è l’incipit di un articolo di Vox che racconta come sia diventato sempre più importante pubblicare contenuti sui propri profili social, a livello personale ma soprattutto a livello professionale.
Creare contenuti quindi è fondamentale, solo che poi ritorna in gioco la dinamica avvenuta con Luca, il nostro utente medio.
Se creo contenuti che non vede nessuno, che senso ha perdere tempo nel farli?
Il passo successivo più naturale quindi è adattarsi, rispettare le regole degli algoritmi e quindi alimentare un sistema che ci vuole sempre più connessi e sempre più veloci.
E quindi, per quanto MrBeast possa essere uno dei colpevoli di tutta questa faccenda, non posso che essere d’accordo con il suo appello su Twitter.
“L'anno scorso ho rallentato i video, mi sono concentrato sulla narrazione, ho lasciato respirare le scene, ho urlato meno, i video sono diventati lunghi… e le visualizzazioni sono schizzate alle stelle” dice nel post.
Rallentiamo, anche perché sul lungo periodo possiamo raggiungere risultati molto più importanti. E la nostra salute mentale ringrazia.
Abbiamo una paura incredibile dei rimpianti.
Talmente tanta che le nostre decisioni sono influenzate dalla paura di sbagliare.
Per spiegarvi questa fobia vi racconto un giochino molto semplice.
La persona davanti a voi ha due bicchieri e due dadi, uno rosso e uno bianco. Nasconde i dadi sotto ai bicchieri e li mescola, senza che voi vediate dove li ha messi. Poi ve li avvicina e vi dice che, se indovinate dove si trova il dado rosso, vi dà 5 euro.
Voi scegliete un bicchiere.
La persona quindi ve lo avvicina, sempre senza dirvi la soluzione, e vi chiede se siete sicuri o se volete cambiare idea.
Se state pensando “no, non cambierei il bicchiere che ho scelto inizialmente” siete allineati con il 90% delle persone.
E i motivi sono principalmente 2.
Da una parte siamo condizionati dall’effetto dotazione, che ci fa dare più valore a qualcosa che sentiamo “nostro”, rispetto a un oggetto equivalente che invece non possediamo.
Dall’altra parte facciamo di tutto per minimizzare i rimpianti.
Infatti, se prendiamo una scelta che si rivela sbagliata ci rimaniamo male. Ma se facciamo una scelta, cambiamo, e poi scopriamo che quella precedente era giusta ci rimaniamo molto peggio.
Per questo cerchiamo sempre di ridurre al minimo i rimpianti: se proprio dobbiamo sbagliare, tanto vale farlo con le nostre mani!
Pezzo tradotto e riadattato da questo articolo.
In questi giorni si parla tantissimo dell’intervento di Chiara Ferragni da Fabio Fazio e, tra “fraintendimenti” e colpevolizzazione del pubblico, un giornalista ha analizzato in 90 secondi i suoi errori comunicativi.
Ma è vero che ogni volta che esce una serie di DragonBall, l’attività del cartello messicano cala significativamente per qualche giorno? È un meme diventato virale un po’ di tempo fa.
La teoria però è stata debunkata, sarebbe stato fantastico però “no cabron, oggi no malavita, tenemos veder Goku” (questo è il mio livello di spagnolo, basato interamente sulla serie Narcos).“HEY GUYS!”
Avete presente l’accento che hanno gli influencer quando parlano sui social? Per quanto fastidioso, a livello comunicativo è potentissimo perché manipola l’utente e lo tiene incollato: la voce che si alza verso la fine della frase fa percepire che il discorso non è ancora terminato, è una cadenza riconoscibile quindi è più immediato ritenere il video più credibile, e tante altre chicche spiegate qua.Tutti conosciamo i deja-vu, nessuno parla mai dei jamais-vu.
Se i deja-vu sono la sensazione di aver già visto qualcosa, al contrario i jamais-vu sono la sensazione di non aver mai visto una determinata cosa con la quale invece dovremmo essere familiari. Viene spiegato bene qua.Se a un colloquio ti promettono che lo stipendio è “molto competitivo”, tu prometti che le tue skill sono “molto fantastiche”. Scene di vita vera da Ugolize.
È tutto, fatemi sapere se il pezzo finale con “altri edamame” vi piace, così lo replico anche la settimana prossima! Al prossimo giovedì :)
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Avanti con la sezione "altri edamame", approvo.
Love the dice. Gamblers with a losing hand playing against the house.