Che ti ridi? IL PAESE DELLE PAZZE RISATE di Jonathan Carroll
"È follia, e ancor più peccato ma soprattutto noia ad animar la vicenda"
"Thomas era nel suo letto e voltandosi sfiorò il bull terrier. Il quale gli disse: «Era solo un sogno, caro»". [Il paese delle pazze risate, Jonathan Carroll, trad. Di L. Fusari, Mondadori, 2004, p. 196]
C'è un punto preciso, in Il paese delle pazze risate, in cui Jonathan Carroll si rende finalmente conto che per oltre la metà del romanzo non ha fatto altro che ciurlare nel manico (per i non frequentanti di idiomi regionali: “cazzeggiare senza costrutto”), e che è ora di mettere da parte le fantasie sessuali del protagonista per concentrarsi sulla storia vera e propria.
Questa improvvisa epifania ha luogo nel momento in cui fa esclamare a una comparsa: «Perché non la smetti di dire stronzate e non mi prendi e basta?»
È una frase che fa sospirare il lettore e ne rinfocola la speranza, dopo le centinaia di pagine passate a sbuffare e a picchiettare sul foglio, come un novello Ian Malcolm, chiedendo "Sono previste bizzarrie nel suo paese delle bizzarrie?"
La frase in oggetto segna il passaggio +da quello che si potrebbe definire come un lungo – piuttosto noioso - prologo e uno straccio d'azione.
Dico “straccio” perché, sfortunatamente, proprio allora Carroll inforca la tastiera come fosse una Ducati e, con fast forward rapidissimi, accelera impennando verso uno dei finali più oziosi e sciatti che siano mai capitati sotto questi stanchi occhi.
Un po' è anche colpa mia. Avrei dovuto annusare la sòla dando un'occhiata al blurb sulla copertina, quella frase che l'autore di turno, per l'occasione travestito da Mario Brega delle Lettere, enuncia per decantare la bontà delle olive dell'amico suo. Ora, il blurb sulla copertina di Il paese delle pazze risate è di Stephen King e io ho questa cosa con le olive che piacciono tanto a King: raramente ne ho assaggiata una che non dico fosse buona, ma che almeno avesse un qualche sapore.
"Questo romanzo mi ha ipnotizzato", dice il Re. E nessuno, men che meno la sottoscritta, metterebbe mai in discussione il suo autorevole parere solo che, magari, quella sperimentata non era ipnosi ma sindrome di Stoccolma?
"Un romanzo originalissimo e pieno d'immaginazione, di mistero, di orrore" chiosa la bandella. Uno della bandella si fida. Se non dei blurb, almeno di quella. Perciò per tutto il romanzo non ho fatto altro che cercare una traccia, un frammento di questa immaginazione, di questo mistero, di questo orrore.
Mi sono sentita un po' come Groucho Marx in quella vecchia scenetta: "O quest'uomo è morto o il mio orologio si è fermato". Secondo me, il mio orologio funziona benissimo. Non posso dire lo stesso del cadavere che ho passato un intero fine settimana a sfogliare. Bizzarrie rinvenute: una coppia di cani parlanti – e neppure troppo loquaci. Una città blandamente matta, di quella forma di pazzia tenuta sotto controllo da dosi massicce di antipsicotici. Un plot twist telefonatissimo. E nient'altro.
Anzi, no. Una cosa c’è, in effetti. E ce n'è in abbondanza: il sesso.
Thomas – il protagonista del romanzo- è, invero, arrapatissimo. Il paese delle pazze risate si apre con lui che tenta di rimorchiare una che gliela darebbe solo perché figlio di famoso attore, salvo poi fuggire raccapricciata dalla sua collezione di maschere – elemento interessante, questo della collezione di maschere, che Carroll non sviluppa di una virgola, che il dio degli scrittori lo pigli a mazzolate – continua con Thomas che va a letto con Saxony, scopamica raccattata in libreria; Thomas che sperimenta inopportune erezioni mentre ha fantasie sadomaso sulla figlia-strega dello scrittore del quale vorrebbe scrivere la biografia. Thomas che soffre di priapismo, forse.
Thomas è questo giovane professore al quale viene la fregola di scrivere la biografia di Marshall France, autore di libri per l'infanzia strani stranissimi morto prematuramente per un attacco di cuore. France era un uomo schivo e bizzarro, la cui vita è avvolta nel mistero, per questo Thomas lascia il suo lavoro all'università per trasferirsi nel paese dove France ha vissuto in religioso isolamento: Galen. Ad accompagnarlo l'eccentrica Saxony, costruttrice di marionette – anche questo, dettaglio che Carroll piazza come se fosse chiave di qualcosa ma non c’è nessuna serratura da aprire e, comunque, la chiave è di pongo - vittima di un non meglio precisato incidente da bambina, e come lui ossessionata da France.
Ma cose strane succedono a Galen e toccherà a Thomas capire come venirne fuori.
Se solo Carroll si fosse concentrato più sulla storia e meno sulle mutande di Thomas, c’erano tutto le premesse per tirarne fuori un bel romanzo. Magari non il romanzo di una vita - una lettura godibile (si chiede di più dalla narrativa di intrattenimento? Non lo so, io raramente). E invece tutto si perde dietro mille discorsi attorno alla rava e alla fava, ai problemi di comunicazione tra Thomas e Sax, al gioco di seduzione tra Thomas e Anne. Le bizzarrie – poche, da cercare con una buona lente di ingrandimento - sono fondale di scena. Né aiuta, per il coinvolgimento del lettore, un protagonista che quando avverte il pericolo o è in una situazione di forte stress... sbadiglia. Ora, voglio sapere: perché diavolo, tra i tanti tic possibili, proprio quello? Cosa accidenti avevi in testa, Jonathan? È forse questa l'impronta dell'originalità che stavo cercando?
Per quanto riguarda il mistero che circonda Galen, sono del parere che chi legge fantasy e/o horror da più di un anno non si ribalterà sulla sedia nel momento della rivelazione. Ma va bene così. È il minore dei problemi. È il modo in cui Carroll sviluppa la storia il problema, come un barista che ti ha sì preparato il miglior gin tonic della serata ma, allo stesso tempo, ha già messo sul bancone gli sgabelli e se ti sbrighi a bere perché dobbiamo chiudere.
Per fortuna, all'incirca a metà romanzo ha l'onestà intellettuale di metterci in guardia:
«Leggere un libro, almeno per quel che mi riguarda, è come viaggiare in un mondo che appartiene a qualcun altro. Se è un buon libro, ti ci senti a tuo agio, sei quasi ansioso di capire che cosa c'è in serbo per te, cosa troverai dietro l'angolo. Se è un libro scadente, è come trovarsi a Seacaucus, New Jersey: c'è puzza e ti piacerebbe essere altrove, ma dato che ormai sei in viaggio, alzi i finestrini e respiri con la bocca finché non ne sei uscito.» [p. 92]
Perciò, che volete che vi dica: se proprio volete visitare Galen, portatevi un boccaglio
Disclaimer: a dispetto del manifesto del qui presente blog o newsletter che dir si voglia, Jonathan Carroll è ancora vivo e lotta insieme a noi e così il libro – diventato un piccolo oggetto di culto durante la sua breve esperienza da fuori catalogo, Il paese delle pazze risate è stato di recente riproposto da La Corte editore.