Black Classical Music è il primo album da solista di Yussef Dayes dopo le collaborazioni con Kamaal Williams (Yussef Kamaal), Tom Misch (What Kinda Music) e l’album live Welcome to The Hills.
La formazione scelta da Yussef per questo disco vede, oltre a lui alla batteria: Rocco Palladino - figlio di Pino Palladino - al basso, Charlie Stacey alle tastiere/synth, Venna al sax e Alexander Bourt alle percussioni. A completamento del tutto, poi, una serie di featuring con alcuni degli artisti jazz più forti della scena inglese: Shabaka Hutchings, Tom Misch, Theon Cross, Jamilah Berry, Elijah Fox, Chronixx, Masego, Miles James, Sheila Maurice Grey, Nathaniel Cross e la Chineke! Orchestra.
Black Classical Music nasce con l’obiettivo di descrivere cos’è il jazz e per questo offre una panoramica musicale che si muove all’interno di ciò che compone la black music - alla base del jazz e di quasi tutto quello che ascoltiamo. È un album, infatti, che si può percepire come una mostra: da una parte attinge dalle radici della musica nera dall’Africa ai Caraibi, passando per gli Stati Uniti; dall’altra ci fotografa lo stato del jazz contemporaneo fornendoci al contempo una visione del futuro.
Nel corso dei 19 brani che compongono Black Classical Music, Yussef si muove senza restrizioni seguendo un tracciato sonoro non lineare. In questo senso è un disco davvero jazz in termini di attitude perché sperimenta, non pone limiti - nel senso letterale del termine - fra i generi e, di base, se ne fotte delle regole, degli schemi e delle classificazioni.
Il tutto è orchestrato in maniera magistrale da Dayes e dalla sua batteria che, nei fatti, tesse le trame del tutto: è il groove il vero protagonista di Black Classical Music.
Oltre a questo, parlando di vibes, definirei l’album soffice. Lo si può ascoltare per chillarsela la sera, per fare un viaggio in macchina, oppure per fare colpo sullx tipx che vi piace tipo “ehi, guarda quanto ne so, beccati ‘ste vibes immacolate”.
Memotti a parte, consiglio di ascoltarlo punto. Poi, nello specifico, consiglio di ascoltarlo perché rappresenta un modo diverso di fare musica nell’era di TikTok e delle canzoni fatte per stream-views e soldi - come se la musica nascesse per questo, tra l’altro: una delle tante storture dell’epoca in cui viviamo.
Ancora più nello specifico, per concludere, lo consiglio a chi non è avvezzo al genere e pensa ancora che il jazz sia come le scorregge (piace solo a chi le fa): è la vostra occasione per redimervi ma, più di tutto, per farvi un favore.
Nonostante 19 brani possano sembrare tanti, l’ascolto fila liscio come l’olio e il groove ci trasporta dolcemente da inizio a fine, dandoci una scossa di tanto in tanto con cambi di ritmo e combinazioni fra basso e batteria che escono dal territorio jazz sconfinando nell’hip-hop, nei ritmi caraibici e nell’elettronica, tanto per citarne alcuni. Come da tradizione nu jazz londinese, peraltro.
C’è qualcosa di ipnotizzante in questo album che lo rende davvero speciale: sono sicuro vi piacerà.
P.s. visto che fa caldo, ancora, partite con Gelato.
Peace!