Essere secondo a nessuno
C'è un'ansia che si aggira fra noi. È l'ansia di pretendere di sapere che cosa le persone vorrebbero sentirsi dire. Quali idee e quali modi potremmo trovare e usare perché ci ascoltino davvero?
Se vuoi puoi leggere la newsletter o ascoltare mentre la leggo:
Da quello che vedo nel mio lavoro quotidiano, molte persone sentono il rischio di scomparire quando parlano e interagiscono con le altre persone.
L'ansia che si aggira fra noi deriva dal desiderio di piacere a ogni costo, vale a dire anche a costo di perdere di personalità come individuo. Con il rischio di smarrirsi. E di parlare a vanvera davanti... a se stessi.
Vedremo oggi la differenza radicale fra il semplice esporre contenuti [proprio come la mercanzia sui banchi del mercato] ed esprimere se stessi grazie ai propri contenuti.
Non sto qui a dire della dipendenza dal like in quella roba che hanno chiamato "i social". Non è il mio settore, preferisco occuparmi del mio specifico: parlare e interagire con le persone.
Succede che molte persone abbiano la tendenza a voler assecondare gli interlocutori. Si chiedono allora che cosa potrebbero fare per riuscire a piacere. E arrivano a chiedersi che cosa potrebbero dire per piacere agli interlocutori. Ma capiamo bene che questo significa limitarsi a procurare piacere non a noi, bensì agli altri. E il nostro di piacere, che fine fa? Vivrebbe forse di luce riflessa? Possiamo chiederci allora se si tratti di un piacere vero.
Seguire/assecondare
Riflettiamo un attimo su che cosa vuol dire assecondare: «Assecondalo, fai come dice, potrebbe essere pericoloso!» Questo è pensare alla sola nostra incolumità: assecondare dunque non tanto per migliorare la nostra vita, ma per non peggiorarla.
Ma possiamo assecondare, anzi, meglio, seguire anche un mentore, un maestro. Se tuttavia lo seguiamo limitandoci a replicare ciò che il maestro ci mostra e ci insegna, alla fine riduciamo tutto ad un copia-e-incolla di contenuti e modi. Saremo sempre secondi al modello: repliche ben fatte, ma pur sempre repliche.
Questo si tradurrebbe anche nel dipendere dal modello di riferimento. Una pura imitazione. Diverso e più proficuo sarebbe invece se ci smarcassimo quanto prima dal soggetto imitato per individuare la nostra unica e irripetibile via.
Che cosa succede, inoltre, nelle gare? Nelle competizioni possiamo arrivare primi, ma possiamo arrivare secondi. Poco male, sembrerebbe. Certo, a meno che in gara i contendenti non siano solamente due: arrivare secondi significherebbe arrivare ultimi. Potresti dirmi che parlare con le persone non consiste in realtà in una gara. In linea di principio sì, non dovrebbe consistere in una gara. Non dovrebbe.
Tuttavia di fatto ogni giorno noi gareggiano per affermare il nostro status e nemmeno ce ne accorgiamo:
- Ciao, che piacere rivederti, come stai?
- Abbastanza bene, ho solo un certo dolorino al ginocchio che quando cammino...
- Un dolorino al ginocchio? - interrompendo - non me ne parlare, la settimana scorsa per colpa del mio ginocchio non riuscivo nemmeno ad appoggiare i piedi per terra per scendere dal letto.
Ecco, l'ha fatto: ha cercato di imporre uno status superiore opponendo la propria inabilità fisica della settimana precedente contro il banale, per così dire, "dolorino al ginocchio". E infatti ha dato un ordine preciso: "non me ne parlare" significando "ora invece parlo io, che è più interessante!"
Quante volte lo facciamo? Il film che abbiamo visto noi la sera prima è sempre più bello oppure più brutto di quello che hanno visto gli altri; la pizza che abbiamo mangiato noi è sempre la più buona o la più indigesta; i problemi che abbiamo noi in famiglia non sono neanche da paragonare alle quisquilie altrui.
Sembra difficile ascoltare per ascoltare e senza il fine di voler affermare noi stessi, cioè il nostro status. Gareggiamo, anzi “guerreggiamo”: il regista pedagogo K. Johnstone definisce questo comportamento come "guerra di status".
Così come cerchiamo di imporre il nostro status, implicitamente accettiamo che anche altri possano guerreggiare e persino vincere le battaglie contro di noi [in particolare quando vediamo le relazioni proprio come battaglie, o guerre]. Ma spesso siamo noi che vogliamo darla vinta in partenza. Questo succede quando vogliamo piacere ad ogni costo: accettiamo cioè che il nostro modo di parlare e comunicare sia condizionato dal piacere altrui. Forse perché pensiamo già in partenza di trovarci in uno stato di inferiorità: tanto vale assecondare l'interlocutore.
Tuttavia, un conto è chiederci di che cosa i nostri interlocutori vorrebbero parlare, e cioè su quali temi potremmo confrontarci. Tutt'altro è invece chiederci, in base a quei temi, che cosa le persone vorrebbero sentirsi dire che le appagasse.
Su qualsiasi tema abbiamo diritto alla nostra opinione, cioè la nostra idea, la nostra tesi. Assecondare l'opinione altrui significherebbe invece parlare solo per il piacere di chi ci ascolta, o chi ci legge, sostenendo e perorando non la nostra idea personale, ma appunto l'idea o la tesi altrui. Ciò significa farsi eterni secondi agli altri e annientare la nostra individualità, la nostra persona unica e irripetibile.
Individuare la nostra espressività
Penso che sia questa la ragione per cui sono parecchie le persone che non conoscono i propri strumenti espressivi. E non mi riferisco agli schemi retorici, ma no, quelli li possiamo imparare e replicare a regola d'arte.
Penso che dovremmo imparare a riconoscerci nelle nostre idee e nella nostra espressività, unica e irripetibile.
Il vero lavoro consiste allora nell'individuare la propria espressività. E individuare di conseguenza il proprio pensiero, troppo spesso sepolto sotto la sabbia della prestazione per l'ansia angosciosa di voler piacere (vedi newsletter #1: LINK).
Per comprendere meglio se stessi, si rende necessario capire che cosa facciamo, come lo facciamo quando parliamo con le persone e capire perché lo facciamo così e non altrimenti.
Sono le nostre fondamenta. Attenzione perché le fondamenta non si vedono, ma ci sono, e sono ciò che permette all'edificio di rimanere in piedi. Con una differenza: le fondamenta di uno stabile sono dotate di fissità: non sono vive come lo siamo noi che parliamo e interagiamo.
Le "fondamenta" di ogni persona, allora, sono vive, perché sono costituite da emozioni, sentimenti, sensazioni, percezioni, istinti: come direbbe Jung, è la nostra dimensione irrazionale. Che c'è e che sempre ci sarà, che viviamo e che sempre vivremo.
Per conoscere meglio la nostra naturale espressività e le nostre intime idee abbiamo a disposizione parecchi strumenti. Io qui ti consiglio di cominciare da due semplici passaggi.
Passaggio numero 1
Ti consiglio di prenderti un momento tutto tuo, in solitudine. Per circa 5 minuti parla ad alta voce di un tema che ti sta a cuore: può avere a che fare con il lavoro, la vita quotidiana, le relazioni affettive, quello che preferisci. Parlane semplicemente. Sarebbe opportuno che ti registrassi: fai un audio con il tuo smartphone.
Passaggio numero 2
Ora ti consiglio di ripetere il passaggio precedente, ma dandoti un minimo di 10 minuti. Di nuovo ti chiedo di parlare dello stesso tema. Cerca, per quanto possibile, di ripetere gli stessi contenuti. Perché tanto tempo in più, il doppio?
Perché ti chiedo di utilizzare questo tempo per fermarti ogni volta che dirai un concetto. Fermati e ripensa a ciò che hai appena detto. Fermati e fai mente locale: un po' come se tu volessi vedere la mappa del tuo discorso dall'alto mano a mano che si dipana. Usa allora tutta la calma possibile: pondera ogni parola, ogni passaggio, ogni momento che ti si presenta durante la tua esposizione. Ti consiglio di audio registrarti anche questa volta.
Non c'è bisogno che ti dica qui la differenza che sentirai fra i due passaggi, se lo facessi ti condizionerei a priori. Sarebbe invece più bello per te, e anche per me, se tu volessi scrivermi che cosa avrai scoperto passando dall'uno all'altro step. Puoi rispondermi via e-mail, oppure puoi commentare qui sotto.
NOTA
Se non hai osservato differenza in te tra il passaggio 1 e il passaggio 2, allora è probabile che tu non abbia fatto l'esercizio per come è descritto.
Se invece hai osservato differenze in te fra il passaggio 1 e il passaggio 2, allora stai cominciando a vedere la differenza fra esporre contenuti [proprio come la mercanzia sui banchi del mercato] ed esprimere se stessi grazie ai propri contenuti.
Ecco un altro passaggio fondamentale: riflettere su ciò che abbiamo appena sperimentato e condividerne le riflessioni: questo ci costringe a fare ordine nella nostra esperienza (vedi #3: LINK).
Aspetto le tue considerazioni. Buon divertimento!
Video che ho pubblicato
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Parlare in pubblico bene. Collezione di 15 SHORT per comunicare e parlare bene, LINK
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Come usare i proverbi per parlare in pubblico, LINK
Come iniziare e finire un discorso. E dargli senso, LINK
Quanti esempi fare in un discorso in pubblico, LINK
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Manuale e consulenza
🔸 Manuale
🔸 Consulenza one to one
Bibliografia del post
Johnstone, K., (2004), Impro. Teoria e tecnica dell'improvvisazione. Dall'invenzione scenica a quella drammaturgica, Dino Audino Editore, Roma
Jung, C. G., (2015), Simboli e interpretazione dei sogni, Bollati Boringhieri Editore, Torino