Applicarsi non basta
Conoscere come si fanno le cose non significa per forza saperle fare. Serve almeno un passaggio in più, ma è proprio quello che ci rende consapevoli, anzi coscienti: consapevoli di essere consapevoli.
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Applicarsi non basta. Come possiamo diventare esperti di ciò che facciamo.
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Cominciamo.
Applicarsi non basta. Come possiamo diventare esperti di ciò che facciamo.
Tutti noi vogliamo saper fare le cose che ci piacerebbe saper fare. Saper scrivere, saper investire il nostro denaro, saper cucinare, saper sedurre, saper parlare in pubblico.
Alcuni pensano che per sapere fare basti conoscere la procedura. Non so dire se questo sia valido per le attività solitarie. Certamente non basta per le attività che ci coinvolgono quando entriamo in relazione con altri esseri umani, perché tutto si complica. Come farla semplice, allora?
Qualcuno potrebbe dire che, oltre a conoscere solo la procedura, sarebbe necessario anche imparare ad applicarla. Sì, certo, ma nemmeno questo è abbastanza. Non lo è per le attività come il parlare in pubblico, parlare con le persone sia che siano clienti, collaboratori sia che siano affetti. Come possiamo imparare a farlo con consapevolezza e con coscienza?
Il rischio è che facciamo le cose come fossimo foche addestrate: obbligate al rispetto della mano destra del maestro. La mano destra sarebbe simbolicamente la mano della giustezza delle cose [perciò fino al secolo scorso i mancini hanno avuto vita dura].
No, l'addestramento non basta [lo trovo anche noioso], serve ben altro quando stiamo imparando attività che possono coinvolgerci come persona, il che significa emotivamente. Perché parlare con un collaboratore o una collaboratrice, con clienti, ma anche con amici, significa mettere sul piatto le nostre emozioni. Quante volte proviamo amarezza, rabbia, irritazione o frustrazione? Quante volte proviamo anche soddisfazione, riconoscimento, persino gioia!
Tanto per cominciare, basterebbe chiedersi «come sto io in tutto questo?» E, poi, semplicemente: «che difficoltà sento e che appagamento ricevo?»
Questo è il primo passaggio, fare le cose e chiederci come stiamo. Lo psicanalista M. Rosemberg sostiene che spesso noi non sappiamo che cosa pensiamo e sentiamo e quando iniziamo a esprimerlo molte volte esplicitiamo solo la punta dell'iceberg di ciò che abbiamo dentro.
Si tratta allora di fare un piccolo lavoro di analisi di come sono andate le cose, è persino gratuito! Possiamo scriverlo oppure registrare un vocale da inviare a una persona o anche a noi stessi. Ma perché esplicitare questi contenuti dandogli una forma? Non sarebbe sufficiente pensare a mente?
Quando scriviamo o parliamo a una persona oppure anche a noi stessi siamo costretti a esprimere pensieri sensati, cioè con una forma logica. Siamo costretti a fare ordine mentale grazie all'artificio della scrittura o della parola ad alta voce.
Succede a volte che una persona che seguo in consulenza non abbia voglia di farlo. Come potrei darle torto, visto che in effetti si tratta di un'attività all'inizio impegnativa? Ecco perché per facilitarle il lavoro, le lascio poche semplici domande (sono ispirate alla comunicazione empatica di Rosemberg e all'indagine di consulenza di Lahav):
dimmi che cosa hai fatto, le azioni che hai compiuto in successione;
dimmi che cosa hai provato facendo, spiega le tue emozioni anche al termine dell'attività;
dimmi che cosa ti è mancato.
«Prendiamo piena coscienza, piena consapevolezza, della nostra vita attraverso la sua ricostruzione in forma narrativa [...] La narrazione rende esplicito l'implicito, porta alla luce ciò che è nascosto, dà forma a ciò che non ha forma, e porta chiarezza dove c'era confusione».
Atkinson
Lo psicologo Atkinson ci spiega quindi che quando raccontiamo prendiamo coscienza di che cosa abbiamo fatto, come lo abbiamo fatto e di come stiamo noi dentro quel fare.
Ecco che cosa succede poi
Quando poi proveremo a ripetere l'attività, la faremo dopo la presa di coscienza secondo lo schema:
Fare la pratica, cioè fare azioni pratiche (azione);
Ripensare al racconto di ciò che abbiamo fatto e di come lo abbiamo vissuto (riflessione).
Ed ecco la magia, che a dire il vero non è una magia, ma può sembrarlo. Piano piano, tentativo dopo tentativo, i due momenti qui sopra - azione e riflessione - si avvicinano sempre di più fino a sovrapporsi a un certo punto.
In altre parole, col tempo, riesco a riflettere su ciò che faccio nell'esatto momento in cui lo sto facendo.
Prossimo progetto podcast
Sto progettando un podcast gratuito sulla ricerca delle idee e la elaborazione in autonomia di un discorso sul modello simile ai TED talk.
Lo scopo è quello di aiutare le persone che ascolteranno il podcast a elaborare una ricerca personale per i propri contenuti, in modo tale che sia i concetti trovati sia la struttura stessa del discorso diventino personali e unici.
Sto pensando di coinvolgere le persone che ascolteranno aiutandomi a costruire il podcast di puntata in puntata. Scrivimi se ti interessa. Nel prossimo numero conto di darti più notizie.
Video che ho pubblicato
YouTube
Coinvolgere con il colore della voce
Come imparare a guardare le persone negli occhi: 5 step per coinvolgere
Public speaking: su cosa vuoi migliorare? Domande e risposte
Reel su Instagram
Parlare senza emozionarsi, ha senso?
Audio che ho registrato
Podcast
Se NON MI VENGONO LE PAROLE. Che cosa fare
Creare suspence parlando. Come creare attesa e interesse per quello che dici
Audio Telegram
No! Ecco perché rifiutare l'esempio
Le slide sono come una seconda bocca
Manuale e consulenza
🔸 Manuale
🔸 Consulenza one to one
Bibliografia del post
Atkinson, R., (1998), L'intervista narrativa, Raccontare la storia di sé nella ricerca formativa, organizzativa e sociale, Raffaello Cortina Editore, Milano
Lahav, R., Comprendere la vita, La consulenza filosofica come ricerca della saggezza, Apogeo, Milano
Rosemberg, M. B., (1998), Le parole sono finestre [oppure muri], Introduzione alla comunicazione non violenta, Edizioni Esserci, Reggio Emilia