È celeberrima la battuta di Nanni Moretti in Palombella Rossa: “Ma come parli? Le parole sono importanti!”. Verissimo: le parole che scegliamo per nominare certi oggetti o certi accadimenti hanno un’influenza nel modo in cui li giudichiamo e oggi parleremo proprio di questo!
Io sono Eugenio Radin e questa è la newsletter in cui parlo di filosofia e argomentazione: uno strumento per pensare e per salvarsi dal naufragio! Se ancora non lo fai, ti invito a seguirmi anche sui miei profili Instagram e TikTok e ad iscriverti alla newsletter per non perdere le prossime uscite!
Ma ora partiamo!
Aria fritta
Parliamo di friggitrici ad aria: uno dei prodotti più di successo dell’ultimo anno! Scommetto che molti di voi la utilizzano in cucina (anch’io l’ho recentemente regalata ai miei genitori e sono curioso di vederla all’opera). Eppure sono certo che pochi tra voi sono al corrente di un fatto: la friggitrice ad aria esiste da più di vent’anni!
Non ci credete? Ve ne do la prova: ecco lo spot pubblicitario di Frittolosa, l’elettrodomestico messo sul mercato nel 2000 dall’azienda Termozeta.
Ahhh… i primi anni duemila… dolci ricordi!
Nostalgie a parte: la povera Frittolosa ebbe uno scarsissimo successo e fu un flop commerciale. Eppure il suo funzionamento era praticamente identico a quello attuale: un piccolo forno elettrico, particolarmente potente.
Perché vent’anni dopo siamo diventati tutti fan di questo affare? Cos’è cambiato nel frattempo? Una sola cosa, ma importantissima: il nome del prodotto.
“Frittolosa” non fu un naming particolarmente vincente, perché richiamava soltanto l’idea della frittura, senza esplicitare il vantaggio dello strumento. “Friggitrice ad aria”, invece, in termini di marketing è un vero e proprio strike: unisce, nella nostra percezione, la bontà del fritto alla salubrità di un cibo privo di grassi.
Il prodotto è esattamente lo stesso. Ma il modo in cui noi lo percepiamo, varia a seconda delle parole che scegliamo per descriverlo.
Una lezione preziosa per tutti i copywriter, ma non solo.
Se vi interessa approfondire la questione, vi rimando agli spunti interessanti di Dario Bressanini.
Stupida intelligenza!
Credo che questo meccanismo sia estremamente importante per capire il mondo che ci circonda, perché non è soltanto il marketing ad utilizzare le parole per influenzare la nostra percezione dei fatti. Facciamo altri due esempi recenti:
Da circa un anno si è scatenato il dibattito sulla cosiddetta “Intelligenza Artificiale”: dall’uscita di Chat-GPT tutti si sentono in dovere di esprimere opinioni, giudizi e vaticini sul futuro dell’A.I., spesso cadendo in quella tentazione di prevedere il futuro di cui abbiamo già parlato qualche settimana fa.
Ebbene, personalmente, ho il forte sospetto che se chiamassimo Chat-GPT e i suoi simili “algoritmi generativi” anziché “intelligenze artificiali”, i toni e i contenuti del dibattito cambierebbero molto.
La parola “Intelligenza” infatti è concettualmente e culturalmente molto pregna: ha significati che ancora non ci sono del tutto chiari; è in qualche modo intrecciata all’idea di “coscienza”; richiama alla nostra mente romanzi e film di fantascienza e risveglia nella nostra immaginazione speranze e paure che, al momento, non hanno alcuna fondatezza.
Insomma, il nome che abbiamo scelto per descrivere questi prodotti ci fa dare per scontato che algoritmi generativi come Chat-GPT siano, di fatto, intelligenti. Ma lo sono? Per molti esperti no (si vedano ad esempio gli interventi di Luciano Floridi sul tema) e, in ogni caso, un qualsiasi giudizio richiederebbe un approfondito dibattito su cosa sia l’intelligenza umana: altro tema su cui siamo tutt’altro che concordi.
Neolingue orwelliane
Ci sono dei casi, poi, in cui la scelta delle parole non ha a che fare soltanto con il marketing o con i dibattiti filosofici, ma con la vita di migliaia di persone.
Nel capolavoro di George Orwell, “1984”, uno dei modi in cui la popolazione viene tenuta sotto controllo dal regime dispotico del “Grande Fratello” è proprio la sostituzione di alcuni termini concettualmente negativi con altri termini più neutrali. È così, ad esempio, che il ministero che si occupa di censura diventa il “Ministero della Verità”; il ministero che si occupa di sopprimere le rivolte interne diventa il “Ministero dell’Amore” e il ministero che si occupa di fare la guerra diventa il “Ministero della Pace”, in un sovvertimento tra parole e fatti solo in parte distopico.
Solo in parte, dico, perché un esempio concreto di tutto ciò l’abbiamo visto di recente, quando la Russia di Putin ha vietato di parlare dell’invasione dell’Ucraina come di una “guerra”, obbligando i media ad utilizzare il termine “operazione speciale”, molto più rassicurante per i cittadini (o sudditi) russi.
Anche qui, la scelta della terminologia influenza il modo in cui un certo accadimento viene giudicato, ma i pericoli di questa deformazione sono molto reali.
Le parole non sono le cose
I pericoli sono reali soprattutto perché, al di là di ciò che a molti piace credere, le parole non sono le cose.
Se è senz’altro vero che la scelta di un certo linguaggio influenza la nostra percezione, il nostro giudizio sui fatti, è altrettanto vero che quei fatti mantengono una loro verità, che prescinde da ogni linguaggio e da ogni racconto che noi costruiamo su di essi.
Molti contesti culturali e intellettuali, figli dello strutturalismo e del relativismo di metà Novecento, portano avanti un pensiero secondo cui, per agire sul mondo, è necessario e sufficiente agire sul linguaggio; che per cambiare i fatti bisogna prima cambiare le parole.
Credo che questa idea porti con sé una certa confusione tra il piano della percezione e il piano della realtà. Perché, nonostante l’efficacia del nome, una friggitrice ad aria non cuocerà mai le patate come una friggitrice ad olio; perché le intelligenze artificiali rimangono una cosa ben diversa dalla complessità della mente umana e soprattutto perché una neolingua di regime non renderà meno atroci le sofferenze di una guerra. Il mondo porta con sé un’irriducibilità che non può essere soggiogata e ammaestrata con il linguaggio.
Grazie per avermi letto fino a qui! Ci rileggiamo tra due settimane. Ricorda che se vuoi puoi supportare il mio progetto iscrivendoti a questa newsletter e consigliandola ai tuoi contatti: un piccolo gesto che per me vale molto.
Visto che abbiamo parlato molto di parole e della loro pericolosa duplicità, il consiglio di oggi riguarderà invece la musica.
Di recente ho riascoltato un album jazz che non ascoltavo da molto tempo e ne ho riscoperto la bellezza: Mare Nostrum è un lavoro a tre: la tromba e il flicorno di Paolo Fresu, il piano di Jan Lundgren, la fisarmonica e il bandoneon di Richard Galliano uniscono le loro sonorità per dar voce a una musica malinconica e sospesa che richiama alle volte le melodie francesi, altre volte i toni crepuscolari del Nord Europa e altre volte ancora un’intimità più calda e romantica.
Se non lo conoscete, un ascolto è d’obbligo!
Ciao, Eufenio. Mi chiamo Patricia, sono Argentina e vivo a Buenos Aires. Sono due anni che studio l'italiano( sto finendo "la scuola elementare in italiano) Mi piacciono molto i tuoi articoli, mi aiutano a migliorare il mio italiano e a pensare , che non è una cosa da poco. Grazie mille !!!
Bellissima newsletter! Mi ha colpito molto. Le parole sono un mezzo importante, e oltre nel marketing, bisogna saperle usare anche nella vita quotidiana, comprenderle ed attenzionarle, perché anche una sola parola, in un determinato contesto e in una determinata frase, posso dire tantissimo su di noi e sugli altri!